sabato 19 luglio 2008

la donna del ritrattoLa donna del ritratto


di Javier Cercas, Ugo Guanda Editore


Il titolo del romanzo di Javier Cercas è anche quello di un film anni quaranta di Fritz Lang: un professore universitario di criminologia subisce il fascino di una giovane donna incontrata per caso all’uscita da un club: va a casa sua e mentre discorre con lei piomba in casa l’amante della donna. Il professore, aggredito dall’uomo, lo ammazza per legittima difesa; si sbarazza poi del corpo con la complicità della donna e, quando ormai pensa che la polizia è sulla sua pista, ingerisce degli psicofarmaci per togliersi la vita. La sorpresa finale del film di Lang è che tutta la storia è in realtà non altro che un sogno/incubo del professore. La donna del ritratto è considerato un capolavoro assoluto del genere noir; gioca sul labile confine tra il bene e il male, tra la veglia e il sonno, tra l’innocenza e la colpevolezza.


Anche il romanzo di Cercas, ambientato a Barcellona, muove i suoi primi passi all’uscita di un cinema dove il protagonista, Tomás, ha appena visto il film di Fritz Lang. Incontra Claudia, il suo irrealizzato amore dei tempi del liceo e subito capisce che Claudia è sempre stata la donna della sua vita. Trascinato da un'esaltazione adolescenziale, il protagonista - che per esistere ha bisogno di mischiare vita e letteratura, scrittura e esperienza - si ritrova al centro di un'avventura erotica che ben presto assume i contorni del giallo, perché Claudia, dopo un’unica notte d’amore, svanisce nel nulla e lo costringe a un'affannosa ricerca che è anche una lotta contro le proprie ossessioni. In una storia d'amore che si tinge di noir, Javier Cercas racconta il mistero della donna e dei sentimenti; della felicità e del disinganno che segna inesorabilmente i rapporti umani. Esegue la cronaca minuto per minuto di un’insolita autodistruzione amorosa al maschile.


Nel romanzo c’è uno studio attento del rapporto intenso… tra vita reale e letteratura:


“[…] l’adolescenza, quel tempo in cui non si legge per piacere, per curiosità o per costrizione, bensì per un insopprimibile bisogno di conoscere il mondo e se stessi, ma anche, paradossalmente, per un bisogno opposto: quello di rifiutare il mondo e se stessi, non tanto con il proposito di vivere di riflesso le vertigini e i bagliori che una realtà impoverita e prevedibile non permette di vivere, quanto con la volontà di vendicarsi di questa: delle carenze, delle ingratitudini e asprezze, delle umiliazioni, dei fallimenti”.


… tra passato e futuro, ricordo e invenzione:


“[…] passato e futuro non esistono, che il passato è soltanto memoria e il futuro appena una congettura. Magari è vero, ma forse neanche il presente ha una propria entità, obiettiva, non solo perché è inafferrabile, una sottile lamina infinitamente effimera, e, come accade con la felicità, basta nominarla per farla scomparire (è sufficiente citare il presente perché questo si converta automaticamente in passato, così come nessuno può dire di essere felice senza cessare automaticamente di esserlo, poiché la prima condizione della felicità è l’assenza della coscienza della felicità stessa); ma anche perché il presente esiste solo nella misura in cui qualcuno lo inventa. Per questo vivere consiste nell’inventarsi la vita a ogni passo, nel raccontarla a se stessi. Per questo la realtà non è altro che il racconto che qualcuno sta narrando, e se il narratore scompare, anche la realtà scomparirà con lui. Da questo narratore dipende la percezione del mondo. La realtà esiste perché qualcuno la racconta. Inventiamo costantemente il presente, e ancor più il passato. Ricordare è inventare.”

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